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Quali saranno i lavori più richiesti in futuro

su qualche social di merda mi è apparsa una grafica con i lavori più richiesti in futuro secondo il world economic forum e ci sono cose tipo “ingegneri di tecnofinanza” e “salesforce consultant”.

mmmmh… NO. questo è il futuro secondo voi. le cose, mi dispiace dirvelo, andranno un po’ diversamente.

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Il ricettario del collettivo

ovvero i piatti proposti nella mensa del collettivo. veri esempi di CCPP (Cibi Calorici Per Proletari), pietanze economiche e sostanziose per sopravvivere e non morire. gli ingredienti sono esclusivamente o autoprodotti o comprati in supermercati popolari come eurospin, in’s, penny, quasi sempre in confezioni maxi e in offerta. sono ammessi anche i pacchi caritas. non c’è una suddivisione in antipasti, primi, secondi, spuntini, colazione, cena ecc. perché nel collettivo regna la totale anarchia alimentare. abbiamo preso molto seriamente il modo di dire “mangiare cavoli a merenda”. queste sono solo alcune delle ricette che si ripetono perché un’altra caratteristica della nostra mensa è che raramente viene replicato lo stesso piatto due volte, un po’ per noia, un po’ perché nessuno si ricorda le ricette. in molti dei piatti, praticamente in quasi tutti, è presente l’aglio.

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Io soffro, quindi devi soffrire anche tu

ogni tanto purtroppo mi tocca andare dal medico. la sala d’attesa è minuscola e sempre piena. l’aria diventa subito irrespirabile e vige una regola non detta: se aspetti fuori, all’aria, al sole, è come se te ne fossi andato. se arriva qualcuno e chiede chi è l’ultimo, tu non conti più, perché non sei rimasto a soffrire al chiuso, nell’angusto e malsano spazio della sala d’attesa.

si potrebbe dire a chi aspetta, di solito al 95% vecchi incattiviti, che è più intelligente fare così, aspettare fuori, stare al sole. ma non sarebbero d’accordo. il pensiero è: io sto soffrendo, quindi devi soffrire anche tu. non è giusto che io stia in una cella senz’aria per due ore mentre tu fischietti all’aperto. non è pari. devi soffrire. si potrebbe dire al vecchiaccio: ma allora esci anche tu, cambiamo le condizioni di questo sistema sbagliato. no. è sempre stato così, abbiamo sempre sofferto, nessun cambiamento è accettato. there is no alternative.

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Pinocchietto rosso

Geppetto è un ex falegname che si è rovinato a causa della sua ludopatia. Si è venduto tutto per giocare al videopoker. Un giorno, sentendosi fortunato, si gioca i pochi risparmi rimasti e perde tutto. Disperato, mentre si scola un ultimo gin tonic, ha un’idea folle: “Se avessi un figlio, lo potrei mandare in giro a lavorare e a procurarmi i soldi per continuare a giocare!”. Così, si rimbocca le maniche e crea Pinocchietto, un burattino fatto di pezzi di legno recuperati dalla discarica. Ma Pinocchietto, nonostante sia di legno, non è privo di coscienza. È dotato di una volontà tutta sua, e fin dal primo momento capisce che la vita con Geppetto non sarà facile. Inizia a lavorare come rider, ma per Geppetto i soldi non sono mai abbastanza, perché la sua passione per il videopoker è divorante.

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Come vestirsi se arrivano gli alieni

Immaginate questa scena: è mercoledì, siete in cucina e state preparando gli spaghetti aglio e olio per la cena mentre ascoltate gli Autechre, quando all’improvviso dalle finestre si fanno strada intense luci abbaglianti. Sentite dei suoni indecifrabili e inizialmente pensate sia la musica, ma poi abbassate il volume e capite che vengono da fuori. Spinti dalla curiosità, ancora con il mestolo in mano, uscite in giardino e assistete a un evento straordinario: un’astronave è atterrata sul prato davanti a voi. Dalla navicella emergono figure misteriose che vi osservano attentamente. Sono gli alieni.

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La fattona dei denti

una storia per bambini.

La Fattona dei denti è una donna di mezza età che ha perso quasi tutti i denti a causa dell’uso smodato di alcune sostanze psicotrope. Gira solo la notte, sempre con una Peroni in mano e una sigaretta in bocca, e va a visitare le case dei bambini che hanno perso un dente e l’hanno messo sotto al cuscino. Sa dove andare perché è un potere che ha acquisito in seguito a una tre giorni di full immersion di cocaina, crack, Peroni, ossicodone ed eroina. La Fattona dei denti ruba il dentino senza svegliare il piccolo che dorme, sfilandolo dal cuscino, e invece di metterci una moneta come da tradizione mette cose strane come unghie spezzate, pezzi di vetro, chiavi arruginite, tappi di Peroni, aghi.

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The Billionaires Centipede

il folle e spietato dottor Machno cattura i tre miliardari mark zuckerberg, jeff bezos ed elon musk e li imprigiona nel suo laboratorio sotterraneo segreto. “vi trasformerò in macchine biologiche di produzione economica!”, urla il dottore, il volto contorto dalla follia, mentre i tre miliardari lo guardano terrorizzati. con chirurgica precisione, Machno inizia le sue operazioni: collega l’ano alla bocca dei tre uomini, formando il primo centipede umano fatto di miliardari. in testa c’è musk, il più ricco, al centro zuckerberg, e infine bezos, alla coda.

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La piccola sirenetta fiammiferaia

mia rielaborazione andersen/disney

la piccola sirenetta fiammiferaia vive nel fondo dell’oceano dove tenta di vendere fiammiferi alle persone ma nessuno glieli compra perché sott’acqua non si riesce ad accenderli. la piccola sirenetta fiammiferaia ha freddo e fame e si sente molto sola. il suo unico amico è un granchio rosso tossicodipendente che vende fentanyl. nel tempo libero la piccola sirenetta fiammiferaia incide canzoni che carica online, ma quasi nessuno le ascolta, nemmeno il suo amico granchio.

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Silly Weird Songs

playlist dedicata a Paul McCartney aka Macca aka Paul McCrawfish nelle sue deviazioni più strambe, sperimentali e sempre stupende. praticamente McCartney che supera i Residents. ho fatto una selezione delle mie preferite. nota: non ho messo i fireman – progetto elettronico del maestro – perché non era solo ma era un duo (anche se, va detto, anche in alcuni dei pezzi qua presenti non era solo ma con sua moglie Linda, e con molte macchinine elettroniche). buon ascolto.

(Ricordo che queste playlist le faccio principalmente perché non uso spotify e così me le posso ascoltare dove voglio.)

Vedi anche: La Radietto

 

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Gli alieni sono nostri amici, gli alieni sono nostri fratelli

Se c’è una cosa che ha stancato è la rappresentazione pessimista del contatto alieno, soprattutto al cinema. Il contatto è visto quasi sempre come un’occasione di minaccia o di conflitto. Gli alieni di solito sono cattivi, e se non lo sono loro allora lo sono gli umani: insomma, di sicuro le cose andranno male. Oppure sono esseri incomprensibili e quindi non si riesce comunque a fare amicizia. I film dove gli alieni sono simpatici e collaborativi si contano sulle dita di una mano, e quando esistono spesso vengono confinati nel regno della commedia e dell’animazione per bambini, a dimostrazione che l’ipotesi non viene presa sul serio. Ma perché non immaginare storie in cui il contatto con una civiltà aliena rappresenta una reale occasione di crescita, scambio culturale e reciproco miglioramento? Trame in cui gli alieni non sono solo avversari o incomprensibili enigmi, ma amici e fratelli.

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Piano di riconversione dei ricchi

Che ce ne facciamo dei ricchi? Ora, è chiaro che sono completamente inutili per le società. Sono pazzi accumulatori compulsivi, sfruttatori e inquinanti per il pianeta. Ma potrebbero essere utili? Quando un oggetto mi sembra inutile, invece di buttarlo, preferisco immaginargli una seconda vita, un nuovo utilizzo, restando fedele al principio di Riduci, Riutilizza, Ricicla. Proviamoci con i ricchi.

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Masterchef

“Vieni avanti”

Il concorrente poggia sul piano un piatto di arrosto di vitello glassato al miele con contorno di barbabietola affumicata. Lo chef assaggia lentamente.

“Che cos’è questa merda?”

Il concorrente non risponde, inizia a sudare.

“Guarda questo vitello! Guarda il colore! Sembra merda. Tu hai figli?”

“Sì chef”

“Gli daresti da mangiare questa merda?”

Il concorrente non risponde, con un gesto veloce della mano si asciuga una lacrima prima ancora che fuoriesca.

“Questa barbabietola sembra mestruo di un mese fa. Il mestruo fresco almeno è buono! Questo è mestruo di un mese fa! Fa schifo!”

Il concorrente inizia a tremare. Lo chef lancia la forchetta sul piatto, schifato.

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Salutava sempre

Wire, cramps, xtc, white stripes, clash, david crosby, tom waits, ozzy osbourne, brian wilson, david byrne, neil young, johnny cash, beth gibbons, skip spence, elvis costello, e poi un sacco di canzoni italiane anni 60/70 (ma non i cantautori): tutta musica che ho ascoltato, comprato o scaricato perché me lo diceva lui.

poi i film, ovviamente moltissimi libri, e anche cocktail. per anni mi diceva di ascoltare, leggere o bere una cosa e io lo facevo. avevo 17 anni quando praticamente mi obbligava a scrivere. non faceva mai complimenti, mi diceva solo di scrivere, e io lo facevo. anche perché se no mi minacciava.

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Libertà finanziaria

“Be’ al paese nostro” disse Alice con un po’ di fiatone, “in genere si arriva in un altro posto .. se si corre per tanto tempo come abbiamo fatto noi.”
“Che paese lento!” disse la Regina. “Qui invece, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte devi correre almeno il doppio”.

 

In un video un ex consulente finanziario che assomiglia a una versione hippy di Beppe Grillo spiega ai giovani di non pensare solo ai soldi e al lavoro. Dopo trent’anni di lavoro h24 ha avuto l’illuminazione. Ora gira a piedi nudi, vive in una roulotte alimentata da un impianto fotovoltaico in un terreno che ha comprato con “una parte dei miei risparmi”. Spiega che prima di fare questa scelta ha messo da parte 140mila euro, “e invece di comprare una casa e continuare a lavorare ho deciso di vivere” dice sorridente fissando la videocamera.

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tutto sarà ricoperto con la terra

Stavo camminando in città e mi è apparsa un’immagine vista mille volte, ma che oggi aveva qualcosa di diverso. Una ruspa aveva scoperchiato il sottosuolo e tutto il suo intreccio di tubi. Vedere questi tubi sottoterra mi ha fatto riflettere su tutte le cose che non saprò mai. Sull’ignoranza che resterà ignoranza per sempre. Cose che rimando da anni e che non approfondirò mai. Cose che resteranno per sempre ignote. Ad esempio le divinità dell’induismo: non ne saprò mai un cazzo. Morirò senza saperne niente. Molte volte ho pensato: mah, approfondirò, prima o poi. Ma non succederà mai. È pieno di cose così, come è pieno di tubi sotto il suolo dove cammino. Cosa sono? Uno è del gas, forse. L’altro sarà l’elettricità? E cos’è l’elettricità, esattamente? Saprei spiegarlo a un bambino, o a un vecchio morente che me lo chiederà come ultimo desiderio mentre mi stringe la mano? E se nottetempo avessero aggiunto tubi dall’utilità sospetta, all’insaputa di tutti? Poco lontano da questi tubi ho visto morire una persona. Era sdraiata a terra, supina, la camicia sollevata, la pancia in vista. A fianco c’era parcheggiata un’ambulanza. Una paramedica gli praticava il massaggio cardiaco da un bel po’. Poi sono passati al defibrillatore. Ma c’era aria di resa. Sotto l’uomo sdraiato sulla fredda pietra, c’erano strati di terra e grovigli di tubi e cavi. Morirò prima di sapere bene la corretta pronuncia dell’inglese. Non leggerò mai le poesie nella lingua in cui sono state scritte: ungherese, ad esempio. O giapponese. E poi dove vanno questi tubi? E da dove vengono? Ne vedo solo un pezzetto, quello svelato dagli operai. Ma il resto mi è ignoto. Come le cose da sapere: quelle poche che so, sono incomplete. Fatico a collegarle. Non ho mai studiato qualcosa in modo sistematico e morirò prima di poterlo fare. Non sono mai certo di nulla. E nella maggior parte dei casi questo è bene. Ma a volte sarebbe bello essere certo di qualcosa, anche fosse una cosa completamente inutile. Non so nemmeno se quella persona sia davvero morta. A un certo punto è stata caricata sull’ambulanza che poi è andata via. Forse l’avevano salvata? Non hanno messo la sirena. Vorrà dire che era morta o che adesso stava bene? Da fuori non si capiva, ho visto l’ambulanza passare e sono rimasto nell’incertezza. Nemmeno questo so, se una persona è viva o morta. Se io sono vivo o se sono morto. Gli operai hanno finito di mangiare il panino, sono tornati all’escavatore per continuare lavori che io ignoro completamente, ho sempre ignorato e ignorerò per sempre, tutto sarà ricoperto con la terra e qualcuno ricostruirà quelle perfette geometrie fatte di pietre, nascondendo i tubi e i cavi all’occhio dei passanti. Così come quando sarò morto qualcuno coprirà il mio corpo con la terra e metterà una pietra sopra quel groviglio di ossa, pelle e vene che un tempo ero io.

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One Piece Motivazionale – Diventare il Re dei Pirati

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la scomparsa eleganza di yamaoka tesshu

da sei mesi il maestro yamaoka tesshu non poteva masticare dalla parte destra della bocca. se lo faceva, il dolore lo fulminava come se fosse trafitto da una spada molto affilata. le fitte si estendevano a tutto il volto, chiudeva gli occhi e una mano andava inutilmente alla guancia. da sei mesi si era abituato a masticare così perché non poteva andare dal dentista. non sapeva quale fosse il problema, ma qualunque cosa fosse sapeva che avrebbe dovuto pagare, questo era sicuro. eppure a preoccuparlo non era tanto il denaro, che ormai quasi non ricordava più, ma l’eleganza. sì, cari lettori, avete capito bene. quando fantasticava sui suoi appuntamenti dal dentista yamaoka tesshu si chiedeva come avrebbe giudicato il suo piumino con le toppe, le felpe bucate, i pantaloni sdruciti. avrebbe voluto essere elegante anche in questa situazione, tanto più con il dentista. vestirsi male per lui era diventata la norma, come un saio da indossare per chi ha fatto voto di povertà. ma quando aveva fatto questo voto non se lo ricordava. forse era successo quando dormiva al freddo, indossando due felpe sotto due piumini. a volte era impossibile uscire dal letto e andare in bagno, lavarsi con l’acqua ghiacciata, e infatti yamaoka tesshu ormai non si lavava più. guardava i suoi denti gialli allo specchio e faceva colazione ascoltando i problemi del mondo alla radio. si riscaldava le mani sopra il tostapane, che però teneva acceso poco perché costava, mentre sentiva storie di tsunami, guerre, omicidi, e si chiedeva quando avrebbero finalmente parlato dei suoi denti. se tutto questo era cominciato mentre dormiva, pensava yamaoka tesshu, forse tornando a dormire sarebbe tornato indietro. ma non funzionava. ogni mattina si svegliava solo per arrendersi alla triste e ineluttabile realtà. beveva il suo tè fumante nella cucina gelida, le dita da rosse riprendevano il normale colorito a contatto con la tazza calda. poi si spostava al computer, dove guardava gli annunci di lavoro e dove, come una donna incinta, aveva i primi conati del mattino. poi ascoltava ancora la radio, dove parlavano di libri e di cultura, queste voci piacevoli e rilassate che yamaoka tesshu si immaginava prive di corpo, entità immateriali fluttuanti su soffici poltrone in pelle con una tazza di earl grey twinings davanti, libri freschi di stampa, a confrontarsi sulla necessità della narrazione dall’età moderna alla contemporaneità, o cose simili. poi di solito aveva qualche contatto con la realtà esterna, o perché usciva di casa, evento ormai sempre più raro perché pressoché inutile, oppure tramite messaggi con amici e amiche, dove ci teneva a sottolineare in tutti i modi quanto andasse tutto bene e quanto stesse benissimo. e mentre masticava un cracker, ecco che un granello di sale finiva nell’arcata dentale inferiore, a destra, scatenando ondate di dolore in tutta la testa. mai distrarsi, pensava yamaoka tesshu, mentre alla radio parlavano dello spazio occupato dalla sperimentazione all’interno e in contrapposizione al panorama della letteratura, di egemonie culturali e della tensione tra linguaggio e realtà.

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la vasca

nonostante tutto bisogna pur lavarsi. oltre a un non secondario fattore di autostima, negli incontri ravvicinati la puzza ha significative conseguenze sociali. si rischia di puzzare di povero, o di puzzare e basta. niente riscaldamento e niente acqua calda rendono le cose difficili, ma l’uomo disperato s’ingegna e sperimenta: docce fredde, com’è di moda, acrobatici e inefficienti lavaggi a pezzi, oppure semplici cambi di vestiti, così, a secco. l’ultima doccia calda risale a più di un mese fa, anche se mi sembra molto di più, in un albergo non pagato da me, dov’ero arrivato già piuttosto sporco. ma non è solo una questione d’igiene, è anche per il piacere che l’acqua calda può dare, rilassare i muscoli, stendere i nervi, regalare un sorriso, tutta roba gratuita, in teoria. mio padre mi ha raccontato uno dei suoi ricordi indelebili d’infanzia, di quando a casa sua era andato un uomo a fare dei lavori nelle tubature, al freddo, mio padre aveva forse quattro o cinque anni, e sua madre, ovvero mia nonna (che torna sempre), a lavoro finito portò un catino d’acqua calda all’uomo perché potesse lavarsi le mani e le braccia. secondo il ricordo di mio padre, nel momento in cui l’uomo immerse le braccia, sul suo volto apparve un’espressione incontrollabile di piacere inatteso, come di qualcuno che non aveva mai provato l’esperienza dell’acqua calda, o che forse non la provava da molti anni. è quello che cerco, quella sensazione. così riempio tre pentole e le metto sui fornelli, in contemporanea metto in funzione due bollitori elettrici che riempirò in tutto una dozzina di volte ciascuno. ovviamente questo bagno mi costa, ma ne ho bisogno. mentre metto l’acqua nella vasca mi rendo conto, ma forse era facile immaginarselo, che non riuscirò mai a riempirla completamente. l’obiettivo è arrivare a un livello tale che almeno mi consenta di immergermi. stanco di riempire pentole e bollitori, mi fermo, calcolando a occhio di aver raggiunto il livello giusto. mi sembrano meno di venti centimetri d’acqua, ma decido che è abbastanza, anche perché il bagno si è riempito di vapore, non si vede più nulla e ogni cosa è bagnata. mi tolgo i vestiti, era da un po’ che non lo facevo, sulla pelle ho tanti puntini rossi. mi immergo, l’acqua è calda ma, com’era prevedibile, non è abbastanza. così mi sdraio nella vasca, completamente appiattito sul fondo, e mi lavo così, come se fossi in piedi nella doccia, solo orizzontale. quando inspiro, l’acqua mi lascia scoperto, ma quando espiro la pancia si sgonfia e l’acqua torna a coprirmi, dunque approfitto per lavarmi come si deve nelle espirazioni. è scomodissimo e per niente rilassante, eppure mi godo il calore dell’acqua, che in poco più di cinque minuti diventa tiepida, e allora metto fine all’esperienza. quando mi alzo il mio corpo fuma, ho molta pelle morta da togliere. rimango per un po’ al freddo, nudo, per godermi qualche minuto senza vestiti, poi mi rivesto con biancheria che profuma di lavatrice. è durata poco, ma mi sento bene, mi sento meglio, più ottimista. come cantava alex britti in quel suo bellissimo inno anarchico del 2000: voglio restare tutto il giorno in una vasca / con le mie cose più tranquille nella testa / un piede fuori come fosse una bandiera (…) ma spero solo questa mia fantasia / non sia soltanto un altro attacco di utopia. alla fine mi faccio anche lo shampoo: infilo la faccia tra il rubinetto e il lavandino e lascio andare l’acqua ghiacciata. con la bocca sfioro il buco dello scarico. la testa pulsa per il freddo, l’acqua sembra bruciarmi. è lo shampoo meno piacevole che si possa immaginare, dunque cerco di renderlo il più breve possibile. anche se massaggiarmi la testa con la schiuma è piacevole, sebbene dopo un po’ non mi senta le dita. la schiuma è una cosa buona, è come la mamma, che ti accarezza la testa quando sei triste e stanco. alla fine scccciacquooo e, dopo essermi asciugato i capelli con un phon a forma di papera, il mio ottimismo è aumentato ancora di più.

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earl grey

ho deciso che per il resto della mia vita comprerò solo tè di qualità. non importa quale sarà il mio livello di povertà, e se riuscirò o no a risalire questo imbuto – da oggi fino a quando schiatto berrò solo tè buonissimi. bevo il tè due o tre volte al giorno, tutti i giorni. mi è capitato di bere delle qualità scarse, comprate nei supermercati economici, e le ingoiavo tristemente pensando che quella era la vita. non amara, non dolce, semplicemente non buona. per questo inverno sto usando dei vecchi pantaloni in velluto, buoni perché tengono caldo, cattivi perché hanno sul davanti delle cuciture che si stanno disfacendo e nel didietro, proprio lì, uno squarcio imbarazzante, oltre a essere lisi sulle ginocchia. dunque vanno bene per uscire senza essere visti – meno per situazioni sociali. ma c’è quella zona grigia che è il supermercato, dove di fatto ci sono interazioni sociali, se non con le altre persone sicuramente con la commessa o il commesso, visto che dove vado non ci sono le casse automatiche. al supermercato ho deciso che posso andare con i pantaloni caldi ma distrutti, tanto conosco poche persone e quelle poche forse si aspettano da me che sia vestito così, e che me ne freghi. in questi casi non mi curo tanto nemmeno dei capelli, o di malattie della pelle, di eventuali buchi nella giacca, né di altri banali indizi di sopravvenuta indigenza. mi soffermo davanti allo scaffale del tè. twinings sempre irraggiungibile. forse quando lo mettono in offerta, ma non capita mai. ho fantasticato spesso di rubare delle scatole di tè twinings. quelle e l’avocado sono tra le cose che ruberei al supermercato, anche perché sono tra i prodotti che non metteranno mai nei pacchi alimentari della caritas. twinings ha un copywriter molto capace, come si intuisce da questo formidabile incipit sul loro sito: “In un tempo in cui si beveva solo caffè, Thomas Twining sfidò le convenzioni e iniziò a commerciare tè con le Indie Orientali”. sembra già la trama di un film di hollywood, tutti che bevono caffè, arriva questo pazzo che spiega a qualcuno che il futuro è nel tè, nessuno gli crede, gli danno del matto, ma alla fine ha ragione lui e fa i soldi. poi a fianco a twinings c’è sir winston tea, ottimo tè da supermercato, ma anche questo sempre troppo per le mie tasche, quindi tocca prendere quelli economici, o attendere che qualche amico o amica ti regali quelli buoni. ho già ricevuto del tè in regalo quest’anno, un tè matcha molto buono, se ci si abitua. penso: chissà cosa direbbe mia nonna se mi vedesse andare in giro con questi pantaloni. lei in casa aveva sempre il tè twinings ed era molto netta per quanto riguarda la differenza tra i vestiti da casa e i vestiti per uscire. anche in casa in realtà si vestiva bene, perché poteva sempre arrivare un ospite. ma quando si usciva bisognava essere perfetti, e anche diventata molto vecchia si controllava allo specchio prima di uscire di casa e si spruzzava un po’ di profumo. ed eccomi qua, nonna, con la mia puzza di caprone e legna umida, i pantaloni bucati, due avocado nelle tasche, una scatola di earl grey della twinings nella giacca, pronto per la mia scalata al successo.

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Non sé, non opinione

Daiju, un giovane allievo del maestro Tekisui nel monastero di Bankei, voleva farsi un’opinione sul conflitto in Medio Oriente. “Non sei pronto” gli disse il maestro. Daiju era ostinato e decise di leggere cento libri in cento giorni, uno al giorno. Storia, geopolitica, reportage giornalistici, perfino fumetti: Daiju lesse avidamente e sottolineò molti passaggi, rubando non poche ore al sonno (durante il giorno meditava e lavorava nel giardino). Dopo cento giorni si ripresentò dal maestro Tekisui che, senza nemmeno ascoltarlo, lo respinse subito dicendo: “Non sei pronto, torna quando lo sarai”. Il giovane Daiju capì di essere ancora vittima di percezioni erronee; comprò altri libri e andò avanti a leggere e studiare, questa volta per un anno. Ma ancora una volta, un anno dopo, il maestro lo respinse: “Non sei pronto”. Daiju studiò un altro anno, ogni giorno, rubando tempo al sonno e pensando al conflitto in Medio Oriente anche durante la meditazione. Nel suo palazzo mentale si era formata un’opinione ormai da tempo, ma voleva che fosse solida, in modo che il maestro non potesse distruggerla immediatamente. Una mattina, finiti tutti i libri e i canali Telegram, Daiju si presentò dal maestro e, senza lasciargli il tempo di rispondere, disse “Ora sono pronto. Secondo me…”. “Te?” rispose il maestro. “Non c’è nessun te”. Daiju in quel momento raggiunse l’Illuminazione. Più tardi fu visto davanti a un grande falò di libri.